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Il viaggio in Borneo 2017 by Capex

Lo scorso anno sono tornato per la seconda volta in Borneo con Angelone, mio grande amico e grande tatuatore… e questo è il resoconto del nostro viaggio.

Il Borneo è un’isola situata nel sud-est asiatico, divisa tra due stati: Indonesia e Malesia. Noi siamo partiti con l’obiettivo di realizzare un reportage fotografico e descrittivo, e per incontrare uomini e donne che in quei luoghi del mondo si sono tatuati o hanno modificato il proprio corpo. La pratica del tatuaggio in Borneo si perde infatti nella notte dei tempi: anticamente ogni etnia portava particolari “segni” sulle pelle, ai quali corrispondevano diversi significati. La pratica originale si è ormai persa da circa quarant’anni (ci sono studi che eseguono lavori in stile tradizionale, anche con pratica manuale, ma i primi risalgono a vent’anni fa) e ciò che rimane sono le poche testimonianze viventi sparse sul territorio: anziani che oggi hanno tra i settanta e i novant’anni.

Noi ci siamo inoltrati all’interno dell’isola, nella parte malese, senza avere ben chiaro dove dirigerci e lì, grazie a qualche contatto, abbiamo capito dove andare per trovare le realtà che ci interessava documentare. Dopo aver lavorato alla Sabah Tattoo Convention, che si è svolta a Kota Kinabalu, abbiamo preso un volo interno, un taxi e un barcone e siamo arrivati in una piccola cittadina nella giungla, dove abbiamo trovato un modesto alloggio. Ci siamo subito resi conto che al mercato centrale, così come per strada, si vedevano pochi uomini tatuati… scorgevamo solo alcune tipiche “fantasie Iban” (l’etnia del luogo) che spuntavano sulle braccia e sulle cosce di qualcuno. Queste persone gentili, però, non hanno esitato a raccontarci aneddoti ed esperienze, mostrandoci con fierezza i loro tatuaggi.

Gli Iban sono anche conosciuti come i tagliatori di teste, perché in tempi remoti (ma si dice che siano stati attivi fino all’ultimo dopoguerra) i guerrieri praticavano questa mutilazione ai nemici. Gli uomini che abbiamo incontrato non si sono spinti tanto in là, ma erano fieri di portare addosso quei segni neri, potenti e bellissimi, effettuati con strumenti rudimentali manuali, e che stavano a rappresentare il coraggio, il passaggio da adolescenti ad adulti, le loro esperienze di viaggio e di vita.

Durante le nostre peregrinazioni ho avuto il privilegio di tatuare il capo di una “longhouse” (la tipica abitazione-palafitta del luogo, dove generalmente vivono intere famiglie, anche molto numerose). Sfoggiava già dei tatuaggi – ricevuti tra il 1972 e il 1978, in tipico stile Iban – che rappresentavano i “Bunga Terung” (i fiori tipici conosciuti nel mondo occidentale come “rose del Borneo”) incisi su entrambe le spalle, insieme a farfalle e altri elementi naturali sulla schiena. Con l’attrezzatura che mi era servita per tatuare in convention la settimana prima gli ho tatuato un “Naga”, il tipico drago-serpente, in stile tribale Iban sul braccio.

Per me è stata un’esperienza meravigliosa, che porterò per sempre con orgoglio nel cuore, avvenuta in una delle poche originali abitazioni in legno ancora rimaste, al cospetto degli abitanti del luogo, ma anche di teschi secolari dei nemici.

Dopo altre cinque ore di viaggio sul fiume abbiamo raggiunto luoghi non lontani dal confine indonesiano del Kalimantan, per entrare in contatto con altre etnie del gruppo Dayak (il complesso etnico dell’intero Borneo): i Kayan, i Kenyan e altri gruppi minori, sparsi tra piccoli centri abitati e foreste.

Da queste parti abbiamo potuto apprezzare i tatuaggi solo sulle donne, talvolta pesantemente tatuate con motivi ornamentali, per lo più a righe e riccioli, che ricoprivano i loro avambracci fino alle mani, e le gambe da sotto il ginocchio fino ai piedi. Sono motivi che hanno oltre ottant’anni di vita e che per questo motivo oggi appaiono quasi come intere macchie nere.

Gironzolando con le gente del luogo – e con una persona in particolare che parlava un po’ d’inglese – abbiamo visitato molte longhouse e incontrato donne (a volte anche ultranovantenni) che erano state tatuate da bambine. Nella cultura Kayan, infatti, la bellezza veniva valutata anche in base ai tatuaggi e alle estensioni dei lobi degli orecchi, ornati con sontuosi e pesanti orecchini, che tutt’ora portano alcune donne anziane.

Sullo sfondo: paesaggi mozzafiato immersi nella giungla, esperienze di vita con i nativi, bagni nelle cascate, una natura imponente e selvaggia, lunghi e interessanti scambi con la splendida popolazione locale.

Durante gli ultimi giorni, prima di rientrare, siamo andati a visitare il grande e bellissimo complesso di Angkor Wat, in Cambogia, e abbiamo raggiunto Bangkok per una gita di tre giorni, dove abbiamo visitato il bellissimo Wat Arun, situato sulle sponde del fiume Chao Praya, e lo storico studio di Jimmy Wong. Jimmy è un tatuatore Thai con oltre 45 anni di esperienza, da cui mi sono fatto tatuare.

È stato un viaggio meraviglioso, che mi ha lasciato addosso la voglia di condividere questa esperienza con voi e di ripartire presto per un’altra avventura!

 
Fonte
https://www.tattoolife.com/il-viaggio-in-borneo-2017-by-capex/
 

Borneo 2017

Dopo l’esperienza dell’anno passato sono tornato in Borneo, stavolta col grande tatuatore nonché grande amico Angelone.
Il Borneo è un’isola situata nel Sud-Est Asiatico divisa tra due stati, Indonesia e Malesya.
Ciò che ci eravamo prefissati era un reportage fotografico e descrittivo, oltre alla possibilità di far conoscenza di vecchi uomini e donne che storicamente e a livello socio-culturale in quella parte di mondo portano tatuaggi e modificazioni corporee.
La pratica del tatuaggio in Borneo, infatti, si perde nella notte dei tempi tribali, e ogni etnia aveva particolari “segni” in determinati posti del corpo con varie e diverse connotazioni e significati.
Questa pratica originale si è persa quarant’anni fa (ci sono studi che seseguono lavori in stile tradizionale, anche con pratica manuale, ma i porimi risalgono a vent’anni fa) e ciò che rimangono sono le poche testimonianze viventi sparse su quel territorio; testimionianze che sono oggi ultrasettantenni se non ultranovantenni.
Siamo andati all’interno dell’isola nella parte Malese senza avere ben chiaro dove andare, e là dalle poche conoscenze e contatti che mi sono fatto abbiamo appreso più o meno dove si potevano trovare le realtà che ambivamo documentare.
Dopo aver lavorato alla “Sabah tattoo convention” che si è svolta a Kota Kinabalu siamo partiti con gli zaini e dopo ore di volo interno, taxi e ore di barcone sui sinuosi fiumi immersi nella jungla, siamo giunti in una piccola cittadina in cui abbiamo subito cercato un modesto alloggio.
Dopo un meritato riposo ci siamo subito resi conto che al mercato centrale come per le strade, ci imbattevamo non raramente in uomini tatuati, scorgendo le tipiche fantasie Iban, la maggiore etnia in questi posti, dalle mezze maniche di una camicia o a volte anche motivi tatuati sulle cosce che uscivano dai loro pantaloncini corti.
Con la dovuta calma e il tatto che ci vogliono per certe esperienze, non abbiamo esitato a chiedere e subito siamo stati ripagati con la gentilezza tipica di queste persone che ci hanno raccontato aneddoti, esperienze, ma soprattutto ci hanno mostrato fieri i loro tatuaggi sulle spalle, sulle braccia, sulla gola e talvolta sulle gambe.

Gli Iban sono anche conosciuti come i tagliatori di teste perché in tempi remoti (ma si dice che fino all’ultimo dopoguerra siano stati attivi) nelle tribù c’erano anche i guerrieri che praticavano il taglio della testa e l’essiccazione dei relativi crani dopo aver lottato ed ucciso i loro nemici.
Se gli uomini da noi trovati non avevano effettuato queste pratiche, cose magari appartenute a livello socio-culturale ai loro padri o nonni, erano di sicuro fieri di portare addosso quei segni neri potenti e bellissimi, effettuati con strumenti rudimentali manuali che significavano il coraggio, il passaggio da adolescenti a uomini e le loro esperienze di viaggio nelle varie parti dell’isola e di vita.
Durante varie visite hoi avuto il privilegio di tatuare il capo di una longhouse (la tipica abitazione-palafitta lunga in cui generalmente vivono intere famiglie con nuclei di parenti) che aveva tatuaggi ricevuti dal 1972 al 1978 in tipico stile Iban, con i Bunga Terung, fiori tipici conosciuti nel nostro mondo occidentale come “rose del Borneo” incisi su entrambe le spalle frontali, o con farfalle ed altri tipici elementi della natura sulla propria schiena. Avevo con me, assieme al normale materiale da viaggio, anche l’attrezzatura che mi era servita per tatuare in convention una settimana prima, e gli ho tatuato un Naga, il tipico drago-serpente, in stile tribale Iban sul braccio.
Questa è stata per me un’esperienza meravigliosa, avvenuta in una delle poche originali longhouse in legno ancora rimaste, attorniato dai curiosi abitanti e con i teschi secolari dei loro nemici appesi che mi osservavano. Un’esperienza che porterò sempre con orgoglio nel mio cuore.

Abbiamo poi, dopo altre cinque ore di fiume, raggiunto luoghi non lontani dal confine Indonesiano del Kalimantan, per vedere delle altre etnie del gruppo Dayak, il complesso etnico dell’intero Borneo, cioè i Kayan, Kenyan ed altri minori sparsi tra piccoli centri abitati e foreste.

In queste parti abbiamo invece apprezzato i tatuaggi solo sulle donne, talvolta pesantemente tatuate con motivi ornamentali per lo più a righe e riccioli, che ricoprivano i loro avambracci fino alle mani e le gambe da sotto il ginocchio fino ai piedi. Motivi che oggi appaiono come intere macchie nere … considerate che certi tatuaggi hanno 80 anni!

Girando con persone del luogo e con una in particolare che parlava uno stentato inglese e ci traduceva dalla lingua etnica madre abbiamo visitato molte long house documentando donne a volte ultranovantenni che sono state tatuate da bambine perché nella cultura Kayan le famiglie dei maschi potevano ammirare la bellezza delle future mogli dei propri figli anche in base ai tatuaggi che portavano e alle estensioni dei lobi degli orecchi, ornati con sontuosi e pesanti orecchini che tutt’ora alcune portano.

Il tutto è stato condito con posti mozzafiato immersi nella jungla, esperienze di vita con i nativi mangiando per terra e dormendo nelle loro case su semplici tappeti imbottiti, guadi di fiumi e bagni sotto le cascate, l’ammirare la natura imponente e selvaggia di certi luoghi e confronti e scambi con i locali che hanno arricchito il nostro viaggio ed il nostro bagaglio antropologico-culturale.

Gli ultimi giorni prima del rientro sono stati utilizzati per andare a visitare il grande e bellissimo complesso di Angkor Wat in Cambogia e un veloce passaggio di 3 giorni a Bangkok in cui abbiamo visitato lo storico studio di Jimmy Wong, il tatuatore Thai con oltre 45 anni di esperienza da cui mi sono fatto anche tatuare, e inoltre anche il bellissimo Wat Arun, situato sulle sponde del Chao Praya, il grosso fiume che attravera questa megalopoli.
Che dire, un viaggio bellissimo con un compagno ottimo e la voglia, non appena tornati, di raccontarsi le proprie impressioni e soprattutto di scoprire sempre di più … pronti per una nuova destinazione!

Borneo 2017

Anche quest’anno torno in Borneo per la Sabah Tattoo convention nel weekend del 23-24-25 Novembre, e con l’occasione io e il mio amico Angelone visiteremo anche altre zone dell’ovest alla ricerca di popolazioni tribali, longhouse in cui troveremo vecchi uomini Iban tatuati e, tra fiumi, giungla e altro, anche altre etnie.

Dopo questa esperienza voleremo in Cambogia per visitare il meraviglioso AngkorWat e prima di tornare in Italia il nostro ultimo obbiettivo sarà tatuarci dai monaci in Thailandia. Cercherò di aggiornare il blog non appena posso con foto e reportage.