Lo scorso anno sono tornato per la seconda volta in Borneo con Angelone, mio grande amico e grande tatuatore… e questo è il resoconto del nostro viaggio.
Il Borneo è un’isola situata nel sud-est asiatico, divisa tra due stati: Indonesia e Malesia. Noi siamo partiti con l’obiettivo di realizzare un reportage fotografico e descrittivo, e per incontrare uomini e donne che in quei luoghi del mondo si sono tatuati o hanno modificato il proprio corpo. La pratica del tatuaggio in Borneo si perde infatti nella notte dei tempi: anticamente ogni etnia portava particolari “segni” sulle pelle, ai quali corrispondevano diversi significati. La pratica originale si è ormai persa da circa quarant’anni (ci sono studi che eseguono lavori in stile tradizionale, anche con pratica manuale, ma i primi risalgono a vent’anni fa) e ciò che rimane sono le poche testimonianze viventi sparse sul territorio: anziani che oggi hanno tra i settanta e i novant’anni.
Noi ci siamo inoltrati all’interno dell’isola, nella parte malese, senza avere ben chiaro dove dirigerci e lì, grazie a qualche contatto, abbiamo capito dove andare per trovare le realtà che ci interessava documentare. Dopo aver lavorato alla Sabah Tattoo Convention, che si è svolta a Kota Kinabalu, abbiamo preso un volo interno, un taxi e un barcone e siamo arrivati in una piccola cittadina nella giungla, dove abbiamo trovato un modesto alloggio. Ci siamo subito resi conto che al mercato centrale, così come per strada, si vedevano pochi uomini tatuati… scorgevamo solo alcune tipiche “fantasie Iban” (l’etnia del luogo) che spuntavano sulle braccia e sulle cosce di qualcuno. Queste persone gentili, però, non hanno esitato a raccontarci aneddoti ed esperienze, mostrandoci con fierezza i loro tatuaggi.
Gli Iban sono anche conosciuti come i tagliatori di teste, perché in tempi remoti (ma si dice che siano stati attivi fino all’ultimo dopoguerra) i guerrieri praticavano questa mutilazione ai nemici. Gli uomini che abbiamo incontrato non si sono spinti tanto in là, ma erano fieri di portare addosso quei segni neri, potenti e bellissimi, effettuati con strumenti rudimentali manuali, e che stavano a rappresentare il coraggio, il passaggio da adolescenti ad adulti, le loro esperienze di viaggio e di vita.
Durante le nostre peregrinazioni ho avuto il privilegio di tatuare il capo di una “longhouse” (la tipica abitazione-palafitta del luogo, dove generalmente vivono intere famiglie, anche molto numerose). Sfoggiava già dei tatuaggi – ricevuti tra il 1972 e il 1978, in tipico stile Iban – che rappresentavano i “Bunga Terung” (i fiori tipici conosciuti nel mondo occidentale come “rose del Borneo”) incisi su entrambe le spalle, insieme a farfalle e altri elementi naturali sulla schiena. Con l’attrezzatura che mi era servita per tatuare in convention la settimana prima gli ho tatuato un “Naga”, il tipico drago-serpente, in stile tribale Iban sul braccio.
Per me è stata un’esperienza meravigliosa, che porterò per sempre con orgoglio nel cuore, avvenuta in una delle poche originali abitazioni in legno ancora rimaste, al cospetto degli abitanti del luogo, ma anche di teschi secolari dei nemici.
Dopo altre cinque ore di viaggio sul fiume abbiamo raggiunto luoghi non lontani dal confine indonesiano del Kalimantan, per entrare in contatto con altre etnie del gruppo Dayak (il complesso etnico dell’intero Borneo): i Kayan, i Kenyan e altri gruppi minori, sparsi tra piccoli centri abitati e foreste.
Da queste parti abbiamo potuto apprezzare i tatuaggi solo sulle donne, talvolta pesantemente tatuate con motivi ornamentali, per lo più a righe e riccioli, che ricoprivano i loro avambracci fino alle mani, e le gambe da sotto il ginocchio fino ai piedi. Sono motivi che hanno oltre ottant’anni di vita e che per questo motivo oggi appaiono quasi come intere macchie nere.
Gironzolando con le gente del luogo – e con una persona in particolare che parlava un po’ d’inglese – abbiamo visitato molte longhouse e incontrato donne (a volte anche ultranovantenni) che erano state tatuate da bambine. Nella cultura Kayan, infatti, la bellezza veniva valutata anche in base ai tatuaggi e alle estensioni dei lobi degli orecchi, ornati con sontuosi e pesanti orecchini, che tutt’ora portano alcune donne anziane.
Sullo sfondo: paesaggi mozzafiato immersi nella giungla, esperienze di vita con i nativi, bagni nelle cascate, una natura imponente e selvaggia, lunghi e interessanti scambi con la splendida popolazione locale.
Durante gli ultimi giorni, prima di rientrare, siamo andati a visitare il grande e bellissimo complesso di Angkor Wat, in Cambogia, e abbiamo raggiunto Bangkok per una gita di tre giorni, dove abbiamo visitato il bellissimo Wat Arun, situato sulle sponde del fiume Chao Praya, e lo storico studio di Jimmy Wong. Jimmy è un tatuatore Thai con oltre 45 anni di esperienza, da cui mi sono fatto tatuare.
È stato un viaggio meraviglioso, che mi ha lasciato addosso la voglia di condividere questa esperienza con voi e di ripartire presto per un’altra avventura!